sabato 4 giugno 2011

The tree of life

The tree of life di Terrence Malick
Esperienza cinematografica, chiamarla semplicemente cinema è, comunque la si veda riduttivo. Il modo migliore di fruire questa esperienza, è secondo me, di approcciarsi a questo film con una predisposizione di animo aperta a qualcosa di nuovo, di inaspettato, di sorprendente, che esula da ciò a cui siamo abituati. Un approccio più convenzionale porterebbe con molta probabilità ad una grande delusione. Uno dei meriti del film, è di fare saltare tutti gli schemi narrativi convenzionali, e lascia che la percezione dello spettatore sia scandita da emozioni piuttosto che da una precisa scansione temporale. Questo film si vede con l'anima. Vengono stimolati stati d’animo e sensazioni, profonde, arcaiche, addirittura rimosse, e questo accade in un modo delicatissimo, incomprensibilmente intimo. L’immaginario che viene evocato è quello dell’onirico, non del sogno idealizzato, piuttosto di quei sogni pesanti e agitati degli afosi pomeriggi estivi, quando immagini di rara bellezza vengono intramezzate da stati di angoscia che travalicano lo stato di incoscienza. Questa a mio parere è la cifra stilistica del film, ma su un piano più analitico Malick cerca l’evocazione emozionale, staccandosi però dal piano soggettivo, e andando a cercare gli “universali”, è sostanzialmente alla ricerca di un senso di armonia nel caso/caos assoluto dell’esistenza. Ce lo suggerisce attraverso una lunga sequenza di immagini di altissima spettacolarità, che tra le altre cose dimostrano ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) la completezza della visione su schermo cinematografico, Malick usa in modo sublime ogni centimetro utile del fotogramma/tela, realizzando dei veri e propri affreschi che si proiettano direttamente nella anima dallo spettatore. Il resto è la ricerca di un armonia nelle angosce della vita, attraverso la rappresentazione di tutta una gamma di sensazioni, che vanno dalla bellezza e la quiete innocente dell’infanzia, le difficoltà e le contrapposizioni dell’adolescenza, il disincanto e il dolore dell’età adulta, i sensi di colpa che a volte avvelenano e condizionano un’intera esistenza. Il finale ci suggerisce attraverso immagini raffinate ed evocatrici, di grande suggestione, che se si persegue un percorso interiore che ci avvicina alle nostre esperienze vissute, è possibile giungere attraverso anche il perdono (degli altri e forse anche di noi stessi) ad una armonica e riparatrice riconciliazione con il proprio passato.



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