mercoledì 11 gennaio 2012

DELLA FOTOGRAFIA non stampata (dichiarazione d’intenti?)



DELLA FOTOGRAFIA non stampata (dichiarazione d’intenti?)

Oggi le immagini fotografiche nascono e spesso muoiono senza finire su di un qualsivoglia supporto materico. Sul piano più strettamente contenutistico sono convinto che non esista alcuna differenza tra fotografia digitale e quella analogica. Ho sempre sostenuto fin da quando inizialmente mi sono occupato di fotografia che l’importante era l’idea, il mezzo è semplicemente un mezzo, le evoluzioni-rivoluzioni tecniche non cambiano la sostanza di quello che un autore vuole comunicare.
Esistono però a mio parere degli aspetti culturali e comportamentali che di sicuro cambiano le modalità di fruizione delle immagini fotografiche e che di conseguenza modificano in modo sostanziale la cultura e la sensibilità estetica accumulata in oltre un secolo di storia della fotografia.
Mi riferisco alla scomparsa nelle abitudini quotidiane di quasi tutti i fruitori di immagini dell’oggetto “stampa fotografica”.
Un aspetto della fotografia digitale che mi incuriosisce e che mi fa interrogare rispetto ad alcuni aspetti conseguenti ad alcune abitudini di fruizione di immagini fotografiche.
Mi riferisco proprio all’abitudine ormai diffusissima di fruire immagini fotografiche esclusivamente su schermi digitali. Mi è capitato di vedere rilanciate (dovrei dire “postate”) su vari social network, alcune immagini di un concorso fotografico dedicato “alla nostra città” completamente organizzato su web. I commenti delle persone che postavano le immagini erano tutti (ovviamente, dal momento che le immagini venivano “condivise” perché giudicate positivamente) entusiastici. Premesso che ho sempre e comunque giudicato con molta supponenza i concorsi fotografici di vario genere, questa volta, in più mi ha colpito il fatto che la possibilità di visionare le immagini fotografiche era solo attraverso un monitor. Non bisogna essere degli esperti per capire che la visione attraverso un monitor, modifica sostanzialmente la qualità di un immagine rispetto la visione su di un supporto non trasparente e non retroilluminato. La cosa mi ha incuriosito, ripeto io non sono un fondamentalista passatista, preferisco ancora leggere un libro cartaceo rispetto ad un e-book, ma se non fosse possibile fare altrimenti non mi farei troppi problemi a passare ad un supporto digitale.
Ma in questo caso mi sono chiesto quante di quelle immagini, così suggestive per tanti miei concittadini, avrebbero mantenuto il loro fascino e la loro qualità oggettiva anche stampate su carta, e quante avrebbero mantenuto la stessa brillantezza tonale, e/o più in generale la loro bellezza.
Bisognerebbe aprire qui un’altra parentesi enorme rispetto ad un interrogativo che mi viene spontaneo, - e cioè se non è comunque certo che tutta una cultura del “vedere” legata alla stampa fine art, una cultura che si affinata per oltre un secolo, e si è nutrita di validi artigiani che hanno fatto della ricerca della stampa perfetta una ragione di vita, attraverso la ricerca di materiali, tecniche, sfumature e tonalità - non sia a rischio. E se si, se non sia lo spreco di una risorsa utilissima?
Decenni di cura e di attenzione al dettaglio, di ricerca del contrasto in equilibrio perfetto per mantenere leggibilità, la scelta della tonalità di colore perfetta che hanno caratterizzato la ricerca di moltissimi autori, non saranno più utili a nessuno? Nella cultura visiva dei nativi digitali queste “sensibilità” saranno inutili, cancellate dall’attenzione allo schermo sempre più brillante?
Il concetto stesso di contrasto viene sostanzialmente eluso dalla visione a monitor, in quanto, nella stampa fine art in bianco e nero è sempre stato il fulcro di una battaglia combattuta contro i limiti dei materiali disponibili.
E ancora nella fotografia d’autore a colori la ricerca della giusta tonalità e densità di un immagine stampata è stato l’obbiettivo di ricerca di stampatori artigiani e di autori come Ghirri e Barbieri (solo per citarne due di casa nostra), oggi immagino la totale babele di tarature colore e profili personalizzati di diversi dispositivi digitali (monitor, smart phone e tablet), e penso che i loro sforzi saranno stati del tutto inutili, se consideriamo che i loro lavori verranno visti per la maggior parte di volte con colori tonalità e densità completamente diverse da quelle che loro stessi avevano fortemente ricercato.
Per altro, secondo me, le stesse considerazioni sono applicabili anche alla pittura e all’arte fruita su internet in generale.
Forse non è così importante? Siamo di nuovo davanti alla solita disputa tra forma e contenuto?
Ma se non era importante, perché per decenni ce ne siamo occupati.
Forse è stato importante nella misura in cui si è dimostrato di potere raggiungere vette di virtuosismo altissimo per poi lasciare strada a modi di visione meno attenti e maniacali?
A mio parere una sana e attenta cultura del guardare è sempre positiva ed auspicabile, e oggi io vedo molta approssimazione e fretta nel consumare qualsiasi esperienza visiva, non c’è attenzione per la qualità e nessuna cultura del colore e della luce, tutte cose indispensabili per una completa e corretta visione di prodotti artistici.
Spero che i nuovi mezzi di fruizione, riescano in futuro a conciliare, la loro praticità con una maggiore attenzione alla qualità dell’esperienza.
Della fotografia mi hanno sempre interessato alcune delle sue caratteristiche più tecniche. Quelle qualità specifiche che la differenziavano da tutte le immagini prodotte in precedenza. Mi riferisco al contrasto, la qualità tonale, ma soprattutto alla nitidezza. Non la nitidezza esasperata di certe tecniche di laboratorio. Sono del parere che un’immagine non debba mai essere più nitida di quanto l’occhio possa percepire, piuttosto la nitidezza tipica della fotografia istantanea, che è già implicitamente più nitida di qualsiasi altra immagine.
Queste sensazioni si uniscono ai ricordi delle vecchie stampe in bianco e nero su cartoncini di spessore notevole e dalle superfici imperfette, che rimandano immediatamente ad un’altra epoca, lontana dalle sensazioni patinate dell’era dei nativi digitali.
Ed è forse per questo che oggi sento il bisogno in un momento in cui nella mia vita di tutti i giorni è scomparsa la stampa fine art, di ritornare a produrre oggetti, materia.
La mia ricerca in questo momento va nella direzione di ricercare della stampe che ricordino l’atmosfera delle vecchie emulsioni albuminiche tipiche della fotografia pre-pellicola.
Sul piano contenutistico, rimango legato alla forma racconto, io in fondo rimango uno scrittore mancato, e un grande lettore, quindi trovo naturale che nelle mie immagini si manifesti il desiderio implicito, di suggerire un percorso narrativo. Ecco quindi che dove è necessario, ricorro a sequenze di immagini. A questa struttura narrativa, l’utilizzo di questa forma di stampa a emulsione spalmata, aggiunge a mio parere una patina di tempo, non è come potrebbe sembrare una semplice ricerca di un simil pittorialismo, piuttosto una sorta di contrasto tra l’attualità dei soggetti e la storicizzazione della tecnica di stampa.