sabato 25 giugno 2011



“le cose non sono le cose” di Paolo Nori

“Allora comincio a dire, nel bel mezzo della campagna ticinese A me della repubblica italiana non me ne frega un cazzo. Della democrazia parlamentare italiana ne faccio volentieri a meno. A me la camera e il senato mi stanno sui maroni. Il presidente della repubblica mi fa le seghe. Non mi piace neanche il papa, a me. Io la sacra sindone ci sputo sopra. Poi torno in macchina, Cha Giovanna mi chiede Ma cosa dicevi? Dicevo due o tre cose, le dico, che a dirle in Italia ti saltano addosso e ti portano dentro. Qui invece si possono dire. Infatti non c’è successo niente, le dico, siamo ancora cittadini liberi a tutti gli effetti. Così andiamo alla mostra, bella mostra, poi torniamo in Italia col nostro segreto. E adesso con queste leggi internazionali probabilmente queste cose si potranno dire anche in Italia. Oppure non si potranno dire nemmeno in Svizzera. Dipende come si mettono d’accordo i politici”.
“Le cose non sono le cose” (pag. 125-126)

Parlare di Learco Ferrari, il personaggio partorito dalla fantasia e dalla penna di Paolo Nori, nonostante la distanza tra autore e personaggio, probabilmente è anche un po’ come parlare di Nori stesso. Infatti nel romanzo dove Nori fa esordire il suo eroe scomodo, ci sono molti dei temi cari all’autore. C’è il linguaggio bizzarro e parlato, specchio di un mondo vissuto, combattuto e assaporato, ma non idealizzato, c’è Danijl Charms, c’è il gusto per una letteratura strampalata che ama il divertimento, il gioco di parola, ma mai fine a se stesso, sempre utile ad una riflessione che va oltre la superfice delle cose, attraverso l’etimologia fa riflettere il lettore sui significati veri delle parole, e delle modalità comunicative che utilizziamo tutti i giorni. C’è un assoluto gusto per una sorta di realismo visionario, e Learco è un eroe perfetto per enfatizzare questa ricerca. Learco Ferrari, è uno scrittore/trombettista in attesa di pubblicazione del suo romanzo “Gli ultimi giri di Learco Ferrari”, ma è anche lo scrittore di racconti spassosissimi, di biografie inventate e irriverenti di personaggi famosi, di racconti surreali dal punto di vista animale, ma anche e soprattutto, di strepitose lettere di risposta al sistema, quelle lettere che nessuno di noi si prende la briga di scrivere, ma che tutti vorremmo scrivere. Learco è uno di noi, ma è meglio di noi, abita un mondo libero dagli “happy hour” e dal “trendy”, il nostro mondo di tutti i giorni, un mondo con i problemi e le piccole preoccupazioni, non i grandi drammi da romanzo, e lo fa con leggerezza e un acume profondissimo. Learco fa convivere lo stupore del fanciullo per le cose, con la genialità compassata del filosofo. Learco ci riscatta, ci riscatta dalle piccole angherie quotidiane, dai meccanismi arrugginiti della vita contemporanea, Learco risponde, alza la testa, e lo fa grande senso dell’umorismo. Un romanzo divertente come non mi capitava da tempo di leggere.



Adolfo De Carolis


giovedì 16 giugno 2011

vita sentimentale di un camionista



Vita sentimentale di un camionista
di Alicia Gimenez-Bartlett

“Era questo che facevano gli uomini di classe, ordinare un whisky alla reception e parlare al telefono con una bella donna, senza preoccupazioni. Avrebbe bevuto da solo, avrebbe acceso la radio, e avrebbe centellinato il suo whisky finché non gli fosse venuto sonno. Così facevano quelli che sapevano vivere”.
“vita sentimentale di un camionista” (pag. 221)

Il romanzo racconta la vita sentimentale di Rafael, un camionista spagnolo, che ama il proprio lavoro e che lo percepisce come mezzo di riscatto e di libertà rispetto ad un destino predestinato di mediocrità. Rafael è un uomo sposato e padre di due bambine, e i numerosi spostamenti, accentuati anche dalla sua totale disponibilità e dedizione totale al lavoro, lo allontanano gradualmente dalla vita quotidiana ed affettiva della sua famiglia. SI sposa molto giovane, a causa di una improvvisa gravidanza, con una ragazza del suo stesso basso livello sociale, e dopo pochissimo tempo l’amore viene sostituito dall’abitudine e l’abbruttimento provocati dalla necessità e dalla quotidianità. Vede una possibilità di riscatto sociale nella professione di camionista, un mestiere che fatto con piena disponibilità, sacrificando spessissimo anche i propri fine settimana, gli garantisce una nuova indipendenza economica, un nuovo tenore di vita per lui e la sua famiglia, ma allo stesso tempo lo allontana dalla vita affettiva familiare, e gli dona quello che lui percepisce come una sua nuova totale libertà. Tutto il romanzo è a mio parere permeato da questa “questione sociale”, del resto dichiarato abbastanza palesemente dall’autrice nella sua prefazione all'ultima edizione del romanzo, dove ci suggerisce di leggerlo, come si guarderebbe un film di Ken Loach. Ma e anche un romanzo in cui si affronta la questione dei generi, infatti secondo me lo si può leggere come lo scorrere di esistenze parallele che hanno due andamenti diametralmente opposti, quella di Rafael sembra avere una parabola in continua ascesa ma che rapidamente precipita, e quella della moglie Mercedes, che attraverso un andamento molto più umile e solido avrà dei risvolti che assumono connotati di assoluto riscatto. Rafael è convinto di avere il controllo assoluto della propria vita, soprattutto sentimentale che gestisce in modo assolutamente promiscuo alternando fidanzate a prostitute più o meno occasionali. Nel romanzo questi rapporti affettivi funzionano però come simbolo e rappresentazione di rapporti di potere in cui Rafael mantiene sempre il ruolo dominante, e questa caratteristica aumenta fino a raggiungere un vero e proprio abuso di potere e di soprusi, quando Rafael incomincia a percepire che tutto gli sta sfuggendo di mano. Il romanzo gli riserva infatti un destino di solitudine e della totale perdita di tutti gli affetti, in una esistenza meschina e arida, mentre alla moglie Mercedes verrà data la possibilità di ricominciare una nuova vita attraverso il riscatto personale e professionale. Mi ha molto interessato il valore simbolico del personaggio di Rafael, nel senso che il suo agire è sempre mirato ad una sorta di riscatto personale rispetto alla condizione di povertà, ma il modo in cui esercita questo suo tentativo di scalata sociale si dipinge di caratteristiche emulative, non spontanee.
Il suo è un egoismo profondo, un vero e proprio individualismo dell’anima.



sabato 4 giugno 2011

The tree of life

The tree of life di Terrence Malick
Esperienza cinematografica, chiamarla semplicemente cinema è, comunque la si veda riduttivo. Il modo migliore di fruire questa esperienza, è secondo me, di approcciarsi a questo film con una predisposizione di animo aperta a qualcosa di nuovo, di inaspettato, di sorprendente, che esula da ciò a cui siamo abituati. Un approccio più convenzionale porterebbe con molta probabilità ad una grande delusione. Uno dei meriti del film, è di fare saltare tutti gli schemi narrativi convenzionali, e lascia che la percezione dello spettatore sia scandita da emozioni piuttosto che da una precisa scansione temporale. Questo film si vede con l'anima. Vengono stimolati stati d’animo e sensazioni, profonde, arcaiche, addirittura rimosse, e questo accade in un modo delicatissimo, incomprensibilmente intimo. L’immaginario che viene evocato è quello dell’onirico, non del sogno idealizzato, piuttosto di quei sogni pesanti e agitati degli afosi pomeriggi estivi, quando immagini di rara bellezza vengono intramezzate da stati di angoscia che travalicano lo stato di incoscienza. Questa a mio parere è la cifra stilistica del film, ma su un piano più analitico Malick cerca l’evocazione emozionale, staccandosi però dal piano soggettivo, e andando a cercare gli “universali”, è sostanzialmente alla ricerca di un senso di armonia nel caso/caos assoluto dell’esistenza. Ce lo suggerisce attraverso una lunga sequenza di immagini di altissima spettacolarità, che tra le altre cose dimostrano ancora una volta (come se ce ne fosse bisogno) la completezza della visione su schermo cinematografico, Malick usa in modo sublime ogni centimetro utile del fotogramma/tela, realizzando dei veri e propri affreschi che si proiettano direttamente nella anima dallo spettatore. Il resto è la ricerca di un armonia nelle angosce della vita, attraverso la rappresentazione di tutta una gamma di sensazioni, che vanno dalla bellezza e la quiete innocente dell’infanzia, le difficoltà e le contrapposizioni dell’adolescenza, il disincanto e il dolore dell’età adulta, i sensi di colpa che a volte avvelenano e condizionano un’intera esistenza. Il finale ci suggerisce attraverso immagini raffinate ed evocatrici, di grande suggestione, che se si persegue un percorso interiore che ci avvicina alle nostre esperienze vissute, è possibile giungere attraverso anche il perdono (degli altri e forse anche di noi stessi) ad una armonica e riparatrice riconciliazione con il proprio passato.



ASCESA